Gerusalemme Roma Compostela: tre nomi girano in testa a quelli che vogliono partire, e sentono nel cuore il fuoco della voce di dentro. Andare, andare, andare, fino alle sorgenti della fede, abbeverarsi lungamente a quelle fonti di vita, e scoprire in fondo il senso del proprio esistere, un nulla nella violenza del mondo, un piccolo grumo immondo di peccato, nient’altro che un respiro affannoso, incontrollabile, prossimo all’ultimo spasimo di una morte senza speranza di salvezza.
E così gli uomini del Medioevo partivano. Non c’erano comode strade, né alberghi accoglienti, né sicurezza nel viaggio, né certezza degli itinerari. Solo segni, racconti, ricordi di quelli che eranotornati, narrazioni favolose, canti e poesie. E così l’Appennino vide nel Medioevo un andirivieni fitto e costante: genti da tutti i paesi, anche dalle lontane terre del Nord e dell’Est europeo andavano a Roma; passato in qualche valico il bastione delle Alpi, disperse in rivoli nella grande pianura del Po, affrontavano poi l’ostacolo insidioso degli Appennini. Chi veniva da Occidente scendeva per la via Francigena; gli ungari e i tedeschi avevano la loro strada, la “Melior via” per Roma, che chiamavano “Teutonica” , o anche “Germanica”, o “di Alemagna”.
(cfr Livia Pedulli, Atti Convegno sulla Via Teutonica 2015)